sabato 28 giugno 2014

CENA DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

Questa settimana è stata la mia settimana di vacanza. Vacanza vera, a casa, ma senza bambini, al mare con due, dico due nonne. Se sopravvivo a settimana prossima ne sarà valsa la pena.
Avevo un sacco di cose da fare, pratiche, che ovviamente non ho fatto, comperecce, che incredibilmente non ho fatto, divertenti, che ho fatto.
Quando non ero spiaggiata sul divano, complice anche il mal di testa che non ne ha voluto sapere di andare al mare con i bambini, forse preferisce la montagna, ho visto amiche, ricevuto regali bellissimi, cenato fuori con Patapà mentre infuriava un uragano e organizzato cene. Con calma, avendo tutto il pomeriggio a disposizione per fare le cose senza affanno. Che alla fine un po' è arrivato comunque, ma forse sono così e devo farmene una ragione. Punto. Cucinando io, che ormai è una rarità. Eh sì, sono una donna fortunata, e comunque se non avessi un marito che adora cucinare probabilmente avrei un Bimbi. A una certa età i propri limiti dovrebbero essere inquadrati, accettati e aggirati.




Aria fresca, nubi in agguato ma compiacenti, assenza di insetti molesti, amici che ridono, non si può volere di più.


Le ricette sono troppe, io son poco precisa, si sa. Ma le potete trovare qui eh!


C'è anche il tempo per un breve momento diy, per vedere con occhi diversi un vecchio stampo per budini un po' ammaccato.


I bimbi tornano domani, ho già la nostalgia per il divano e il rimpianto di tutto ciò che non ho fatto, ma mi pervade tutta un friccichio e quell'emozione sfarfalleggiante che ricorda un po' quella di un primo appuntamento.
Fuori piove ancora e io ho il cambio del mio armadio che mi aspetta...cercasi disperatamente forza di volontà!




venerdì 27 giugno 2014

PORTOGALLO: GIORNO SETTE E OTTO

Eccomi qui, con il finale del nostro viaggio in Portogallo, a praticamente due settimane di distanza. Ma in fondo questa reiterazione è stata un modo per prolungare il viaggio, anche se ora vi chiedo uno sforzo di memoria.
Dunque, se ben ricordate, mentre noi eravamo stesi in spiaggia accarezzati dal fresco vento dell'oceano, gran parte di voi, sullo stivale, boccheggiavate attanagliata da una caldazza improvvisa.
Noi eravamo fuggiti, ma la caldazza è stalker inside e quindi ha fatto di tutto per raggiungerci, gettando in uno sconfortato stupore i portoghesi che alla caldazza caldazza pare non ci siano abituati.
Ma noi siamo più furbi di una qualunque situazione metereologica, e se il primo giorno ci eravamo chiusi in un acquario, il secondo, e pare il peggiore, ce ne siamo andati a Sintra, dove ci era stato detto vigesse un particolare fresco microclima.
Mai dichiarazione fu sì vera. Appena scesi dall'autobus che aveva fatto un giro assurdo per portarci a 16 km di distanza in soli 40 minuti, spegnendo a un certo punto il climatizzatore, credevamo che qualcuno avesse acceso l'aria condizionata. Fuori. Sotto un cielo blu carta da zucchero, che era così bello che dello zucchero aveva persino l'odore.



La prima cosa che abbiamo visto sono state case color pastello e un fruttivendolo in cui se non fosse un filo lontano andrei a farci la spesa tutti giorni. Anche perché vende delle albicocche che, signore mie, se sono buone. Così buone che sanno di succo di frutta.



Poi ci siamo spostati e passo dopo passo siamo entrati nel paese delle fiabe. Una lunga e morbida strada che sale, tra parchi verdi e lussureggianti, in cui placide riposano ville che definire maestose toglierebbe loro parte della magia che le pervade. Nulla di brutto, nulla di fuori posto. Le fate si nascondevano, ma neanche tanto bene, tra le verdi foglie.
Il paese in cima è probabilmente troppo turistico, ma per una volta ho fatto finta di niente.
Abbiamo passeggiato, magiato, passeggiato, mangiato un gelato, passeggiato, addirittura fatto shopping, e come al solito non abbiamo visitato nulla.



Ma ci siamo innamorati, e questo forse basta.


Il rientro è stato un tantino più drammatico. Ci siamo fatti fregare l'autobus da una frotta di gitanti, e abbiamo aspettato davanti alla stazione quello successivo per più di un'ora. La noia si è dileguata nel constatare che tutti e tre i bambini hanno saputo riempire i minuti, aspettando con un sorriso.
L'autobus che ci ha riportato a casa seguiva un percorso ancor più contorto di quello dell'andata. Scendeva giù dalla collina, immergendoci nella fitta nebbia che per contratto deve proteggere il cammino che porta a un paese delle fiabe, allungandosi per i paesini della costa e spingendosi là dove l'Europa si allunga con più slancio verso l'altro continente. Qui la maledetta frotta di gitanti che già ci aveva fregato in precedenza, ha reso abbastanza invivibili gli ultimi interminabili chilometri, mentre i bambini, sempre più verdi, cadevano a turno addormentati. La situazione a un certo punto era così insostenibile che Patapà ha deciso di scendere e di fare l'ultimo tratto a piedi. Borse, bambine grandi addormentate sul passeggino, bambine piccole addormentate in braccio alla mamma, ragazzi pallidi come cenci....la carovana della speranza!
Per fortuna la sera ci aspettava una cena persiana dagli amici portoghesi per finta che era veramente troppi anni che aspettavamo. Una sera piacevolmente calda, un po' agrodolce perché l'ultima. Credo sia quella che chiamano saudade.


Il giorno dopo abbiamo fatto, che ovviamente vuol dire hanno fatto, l'ultimo bagno, e poi via per l'aereoporto, dove ci siamo stati un filino troppo, a parer mio. La vacanza si è conclusa con un ritardo di più tre ore di un volo che già doveva partire alle nove di sera. Anche qui i bambini si sono rivelati campioni di attesa, e la cosa si è risolta senza morti né feriti. Per onor di cronaca vi informo anche che è stata identificata la responsabile del ritardo. Media altezza, bionda, giovane e carina. Affiancata da un giovane alto, probabilmente molto innamorato. Anche troppo. Al punto da averle regalato un bouquet che lei ha stretto per tutta l'attesa. Dovete sapere che giorno mia nonna mi disse che i fiori in aereo portano sfortuna. Poi venne un altro giorno, che invero furono tre, in cui aspettai un aereo in un piccolissimo aeroporto per un tempo interminabile. Insieme a me una comitiva diretta a un matrimonio, un tot di persone e un enorme mazzo di fiori. Non volo tanto, lo sapete, ne ho un terrore folle, ma a questo punto mi sento di dirvi che se vedete qualcuno con un mazzo di fiori aspettare a fianco a voi, secondo me, siete autorizzati a buttarglieli nella pattumiere. E magari dargli fuoco.
Alle tre siamo finalmente atterrati e al canto del primo uccello del mattino ci siamo addormentati


martedì 24 giugno 2014

PORTOGALLO: GIORNO CINQUE E SEI

Ecco, lo sapevo che non dovevo prendere impegni che non posso mantenere, soprattutto adesso che i bambini sono a casa. Questa cosa di scrivere un post al giorno, con pure le foto era fantascienza, ma che posso dire a mia discolpa? Niente, solo che ovviamente non ce l'ho fatta.
Comunque se avete voglia, la nostra vacanza portoghese, anche se ormai è storia passata, io continuerei a raccontarvela. Del resto ho delle foto per un post pronte dai primi di maggio, quindi queste possono essere considerate notizie fresche.
Eravamo rimaste al giorno quattro. Il giorno cinque ho provato a rimanere a letto come al solito, ma la sentivo Patagnoma che frignava per un nonnulla, oh se la sentivo. I miei neuroni seppur addormentati hanno fatto contatto e considerando i giorni trascorsi era possibile che Patagnoma avesse la stessa influenza che aveva Patasgnaffa, Devo dire che ci ho voluto credere, e con tutta me stessa, perché alla fine era durata un solo giorno.
E così le tapparelle sono rimaste semiabbassate, il resto della famiglia più ospite sono stati spediti in spiaggia e io e la piccola abbiamo mangiato tanta frutta e guardato tanta televisione in portoghese.
Nel pomeriggio la febbre era tenuta sotto controllo dalla Tachipirina, i fratelli e il papà sono andati a Lisbona a mangiare sardine e Patagnoma si è guadagnata un bel giro in giostra. Anzi cinque,
E così il giorno sei è arrivato lentamente ma allo stesso momento in un battito di ciglia. E io in un battito di ciglia mi sono svegliata con un anno di più. E una sardina di stoffa. E una gnoma guarita. Già un bellissimo regalo.
Poi siamo tornati in città, treno e due metropolitane e siamo andati nel quartiere che era stato costruito per l'expo. Nel 98. Sembra fatto ieri, moderno, funzionale, spiritoso e vivo. La milanese che è in me ha sofferto per un istante di ansia da prestazione. Mi è piaciuto tutto, anche il centro commerciale che sembra una nave da crociera e ha l'acqua che scorre sul tetto. E i gabbiani che si riposano sopra.


Poi siamo andati all'acquario, pardon, Oceanario.


Un regalo per i bambini ma anche per me, adoro quel blu tremolante e magico. Certo poi mi devo sforzare di non pensare a quei poveri pesci, ma il blu forse aiuta i meccanismi di rimozione.
Ho anche trovato il mio nuovo animale preferito dopo le foche. Ora voglio una Lontra marina, anzi due così si tengono compagnia.


Siamo rimasti così a lungo che poi non siamo riusciti ad andare a vedere il museo della scienza e della tecnica, peccato perché anche solo da fuori sembrava bellissimo. Che volete che vi dica, toccherà tornarci.





Dopo aver guardato a lungo i vulcani d'acqua e la vasca dello tzunami per la gioia di Patapà al posto di tornare subito a Cascais mi è stata regalata una breve serata a Lisbona, e anche se i bambini erano piuttosto stanchi, io la vista sul fiume, i tetti e la luna me la sono proprio goduta.



E così, cioè un oretta dopo è finito anche il giorno sei. Il mio.


giovedì 19 giugno 2014

PORTOGALLO: GIORNO 4

Il quarto giorno è cominciato con il sorgere del sole. Ci siamo alzati e dopo una veloce colazione abbiamo seguito un programma ricco e serratissimo che ci eravamo dettagliatamente preparati.
No, va beh, certo che scherzo. La mattina è passata non so neanche come, poi a pranzo i nostri amici portoghesi per finta, dopo aver rubato una macchina per noi (ovvio che scherzo anche qui, ovvio vero?) ci sono venuti a prendere. Una strada a tornanti in una vegetazione fitta e lussureggiante, che davvero non mi aspettavo. E via a spingerci verso ovest, fino a superare il punto più estremo della nostra vecchia Europa. E detto così fa molta impressione, ma siamo sinceri, se non me lo avessero detto non me ne sarei accorta.
La strada ha cominciato a scendere ed ecco un parcheggio, una costruzione bassa e bianca e una spiaggia spazzata dal vento, con un arco di pietra a contare le onde.
La costruzione piccola e bianca è un fantastico ristorante (Restaurante d'Agrada, visto che un indirizzo ve l'ho dato?) dove prima di servirti qualunque pesce o crostaceo ve lo presentano prima.
L'ultima volta che mi hanno presentato un' aragosta prima di cucinarmela è stato tredici anni fa. Allora sono scoppiata a piangere sotto gli occhi sconcertati del cameriere. Questa volta sono stata molto brava, forse perché presa a rincorrere i miei piccoli granchietti. I quali dal canto loro non hanno fatto una piega e hanno martellato, rotto, scavato e succhiato come non ci fosse un domani.


Alzarsi da quel tavolo è stata dura, soprattutto dopo una gigantesca pavlova alle fragole, ma ne è valsa la pena, oh se ne è valsa la pena. Abbiamo ripreso la macchina, conducendola nuovamente verso Cascais, ma prima di arrivarci abbiamo di nuovo curvato giù verso l'oceano dove ad aspettarci c'era quella che posso annoverare nel conto delle spiagge con la esse maiuscola. Un giorno non mi trovaste cercatemi lì.




Enorme, soffice, bellissima. C'erano più vele in mare che persone sulla sabbia. Un silenzio assoluto, non fosse per il canto delle onde del mare, le grida dei ragazzi ( i nostri ) con la palla e gli schiamazzi di quelli tra le spume (sempre nostri).




Niente, un pomeriggio perfetto, sono pure riuscita a leggere un libro e anche quello era tipo tredici anni che non lo facevo.




Il tempo di tornare a casa lo abbiamo raggiunto a malincuore.
Il giorno quattro si è spento in un ristorante sudafricano, perché era quello più vicino a casa. Poi la Patafamiglia, con l'aggiunta di un figlio (non suo) in più, si è messa sotto le coperte e tutti, prima o poi si sono addormentati.

mercoledì 18 giugno 2014

PORTOGALLO: GIORNO TRE

Con la nostra ormai ammessa flemma il terzo giorno abbiamo finalmente deciso di recarci là dove avevamo sempre detto saremmo andati. "Dove andate quest'estate?" " a Lisbona". Siamo gente di parola. Per andarci da Cascais basta prendere un treno. Nuovo, pulito, efficiente. Uno ogni venti minuti. E per fortuna, perché sono pure puntuali. Vorrei raccontarvi dettagliatamente lo sconcerto e l'incredulità di Patapà quando fermo sul binario alle e 45 di un' imprecisata ora intorno al mezzo del giorno, non riusciva a scorgere più il treno che doveva partire alle e 44. E che infatti era partito. Puntuale, quindi noi lo avevamo perso.
Comunque a Lisbona ci siamo arrivati, anche se venti minuti più tardi del previsto.
E subito l'aria, il fiume, le strade che si facevano sempre più strette, sempre più irte e sempre più affollate di turisti.


Su fino ad Alfama. I Portoghesi sono così ospitali che l'avevano tutta addobbata, sicuramente sapendo del mio compleanno imminente (no, sant'Antonio non c'entra niente, e poi non veniva da Padova?). E poi giù di nuovo, con scorci che si aprono all'improvviso, sul blu del fiume, l'azzurro del cielo, il luccichio verticale degli azulejos.



Ci siamo fermati, i piedi di Patasgurzo scottati dal sole del giorno precedente chiedevano una pausa.
Patagnoma decide che invece lei, che è stata scorazzata sul passeggino, vuole ballare. Pochi passi soltanto e come uscito da un' intonaco scrostato arriva lui. Completo bianco, sorriso smagliante e berretto che sapeva di giornate fresche di sorbetto. Le piccole fanciulle di casa hanno così imparato a ballare il cha cha cha.



Gli occhi di Patagnoma, nuovamente seduta, vengono ripetutamente stropicciati, è giunta l'ora di riguadagnare la stazione e tornare a casa.



La sera, fresca e luminosa, rotoliamo giù di nuovo per le strade di Cascais fino a ritrovarci a mengiare in spiaggia. Il cielo si tinge di rosa, e il giorno tre si adagia sull'orizzonte.


lunedì 16 giugno 2014

PORTOGALLO: GIORNO DUE

Anche il sole sorge in Portogallo, un'ora prima o un'ora dopo, adesso non riesco a fare il conto, ho appena finito una birretta fresca fresca. Comunque il giorno due il sole è sorto, ma io di certo non l'ho visto. Perché non dovete pensare che questa mia pedissiquea divisione temporale del nostro viaggio in Portogallo celi un' accurata guida che voi potrete in un futuro sfruttare proficuamente. Noi siamo andati in Portogallo, sfidando la sorte in maniera assurda salendo su un aereo, ma siamo anche andati in vacanza. E io in vacanza da sempre dormo. Da piccola perché ero piccola,  da ragazza perché ero una ragazza, quando ero incinta perché ero incinta, quando i bambini erano piccolissimi, e di piccolissimi ce ne sono stati tre a rotazione, perchè di notte non dormivo una cippa, e ora perché prendo delle pilloline per l'emicrania. Domani non lo so perché dormirò, ma appena mi invento una scusa plausibile ve lo dico di sicuro.
Resta il fatto che la mattina se è vacanza, e non importa se è in Portogallo, la patafamiglia si muove con una lentezza assurda, quindi quando i nostri dieci piedi hanno calcato le bellissime strade di Cascais era ormai ora di pranzo. E definire le strade di Cascais bellissime non è licenza poetica è vera verità. Non hanno marciapiedi normali lì, né lì né a Lisbona. Le strade sono bianche e nere, con sampietrini così lucidi che sembra abbia appena piovuto, che giocano tra loro creando disegni sempre nuovi. Devo aggiungere che ho ringraziato ogni giorno che non avesse appena piovuto davvero, perché con le salite e le discese che ci sono io mi vedevo già rotolare con le gambe all'aria, un'immagine netta e ben definita.
Insomma una vera fatica perché devi continuamente camminare guardando per terra perché è bello, guardare per aria perché il cielo è di un blu assurdo, e ogni tanto guardare i bambini perché non si sa mai. Però ne vale la pena e se cammini  cammini a un certo punto arrivi all'oceano. Quel mare grande grande con spiagge grandi grandi davanti. Con un vento che ti arruffa i capelli, fa volare la sabbia e volare anche via le ore, tanto che alla fine della giornata abbiamo portato a casa sorrisi smaglianti e una bella scottatura. Eh sì, da questa accurata guida sul Portogallo imparerete almeno che la protezione solare la dovete mettere anche se non sentite caldo. Un errore da veri pivellini, in cui siamo incorsi anche dopo aver visto gli amici portoghesi per finta e milanesi di fatto che eravamo andati a trovare (eh, sì questo viaggio aveva un losco doppio fine), incremarsi accuratamente nonostante siano dotati di una scorta di melanina ben più ricca della nostra.
La giornata è finita a casa loro davanti a un piatto di carbonara, perché in fondo a pranzo avevamo mangiato crêpes. Per il baccalao c'era ancora tempo, in fondo era solo il giorno due.


domenica 15 giugno 2014

PORTOGALLO. PATAVIAGGI GIORNO 1

C'è stata la scuola che è finita, non improvvisamente perché lo sapevo, ma comunque non è che fossi proprio preparata. C'è stata Patasgnaffa a cui è venuta la febbre proprio l'ultimo giorno di scuola, e io lo so che i bambini si ammalano, soprattutto se si deve partire, ma comunque non è che fossi proprio preparata. C'è stato il caldo che è arrivato all'improvviso e non è che ne sentissi la mancanza, ma lo sapevo che a giugno era questione di giorni e sarebbe arrivato, ma comunque non è che fossi proprio preparata.


Ho riempito le valigie, ho preparato le etichette (momento diy: tela cerata, cartoncino, cartelletta di plastica trasparente, pennarello, macchina da cucire.), siamo andati alla festa della scuola, ho sistemato un po' la casa e ho fatto di tutto di non pensarci, perché lo sapevo che alla fine sarei dovuta salire su un aereo, ma comunque non è che fossi proprio preparata. Alla fine siamo partiti, con Patasgnaffa in ottima forma, e udite udite siamo persino atterrati. In Portogallo. Giorno 1.


mercoledì 11 giugno 2014

RAPTUS

Da quando abbiamo ingrandito la Patacasa, la mia stanza preferita forse è l'ingresso, altrimenti detto la stanza del fango...o meglio la stanza dove il fango deve essere lasciato.
È incredibilmente grande per essere un ingresso, o quanto meno rispetto a tutti gli ingressi che ho mai avuto. Ma è fondamentale, perché quando a prepararsi sono cinque persone, lo spazio non basta mai, perché quando sono tanti gli amici che passano da casa lo spazio non basta mai, perché quando le scarpe devono essere per dieci piedi lo spazio non basta mai, neanche con un ingresso grande come il nostro.
Ma le cose che mi piacciono di più sono che dietro a una tenda cela il luogo dove tutte le signore vanno a incipriarsi il naso e i signori vanno a bere il cognac, e che ha un piccolo lavandino.
Il motto propinato a nastro (abbiamo anche dei pappagalli di plastica da adoperare alla bisogna) a chi entra in casa, soprattutto se minorenne è : scarpe pipì mani.




In un solo e unico luogo ti puoi liberare di giacche, di liquidi in eccesso, di scarpe e di microscopici ospiti. Un vero lusso.
Però aveva un che di incompiuto, la parete dietro al piccolo lavabo non era stata mai trattata e ormai era sporca da far paura, visto che qualcuno la usava per asciugarsi le mani....e mancavano anche gli zoccolini, perché ci eravamo dimenticati di metterli, eh sì.


Ora so che ci sono creature fantastiche e metodiche che aprono file per le stanze che vogliono sistemare, io non sono dotata di tale virtù. Io guardo le cose non finite per anni e ci rimugino su, cambiando idea ogni due per tre e non fissandone nessuna. Poi succede che sono in un negozio di
bricolage, che vedo la vernice lavagna in offerta e che non capisco più niente.
Io vado avanti a colpi di raptus, ormai si sa. La priorità quindi è tornare a casa. Mangiare è superfluo, fare la pipì (ops, incipriarsi il naso) rimandabile. Forse con la borsa ancora a tracolla inizio a dipingere, guardando stralunata una parete di casa mia diventare nera.


Una mezz'ora scarsa ed è fatta. L'ingresso si fa improvvisamente più teatrale, i bambini scalpitano con i gessetti in mano, ma dovranno aspettare ancora 48 lunghissime ore, e Patapà è commosso all'idea di avere una parete così sobria ed elegante in casa.


Certo, la sobrietà dura poco. Un merletto bianco va a coprire le sbavature della vernice (in meno di mezz'ora cosa pretendevate?! e provate voi a dipingere con la borsa a tracolla) e presto i gessetti si rendono utili.


Io scrivo finalmente il motto dell'ingresso, pensionando i pappagalli, e Patasgnaffa si dedica ai fiori.



Certo poi torna Patagnoma che si incavola come una biscia perché abbiamo disegnato senza di lei. Dall'alto del suo quasi metro di altezza mi intima di cancellare tutto e brandisce minacciosa un gessetto gigante....ecco ora il nostro ingresso non è più molto sobrio e elegante.


Ah già lo ammetto...ho anche Pipizzato un po qua (zoccolino) e un po' là (sedia), non è colpa mia è l'armadio giallo che mi ha intimato di farlo, dai suoi quasi due metri di altezza!