lunedì 31 marzo 2014

DAYS FOR GIRL....IN ITALY

Avete presente che disagio le prime mestruazioni? L'imbarazzo che si potesse vedere qualcosa, le ore di ginnastica saltate, le giornate al mare con i pantaloncini e improbabili scuse?
Crescendo il problema si è ridimensionato, gli assorbenti sono diventati più sottili, abbiamo imparato ad usare i tamponi interni, qualcuna di noi ha pure scoperto le coppette e ha svoltato la sua vita, almeno per una settimana al mese.
Ma ci sono adolescenti che non possono venire a patti con questo fenomeno, naturale, magico e inevitabile.
In questi giorni si chiudono in casa, perdono ore di scuola, ogni attività sociale viene sospesa. Se hanno un lavoro non ci vanno.
Perché sono donne, perché questo viene visto come un handicap. Perdono quasi due mesi all'anno di scuola o di lavoro. Restano relegate in fondo alla scala sociale e viene loro tolta la possibilità di emanciparsi.
Perché hanno le mestruazioni ma non gli strumenti igienici per gestirle.
Nel 2008 Celeste Mergens, che lavorava in un orfanotrofio in Kenya si accorse che le ragazze, non avendo modo di gestire il loro ciclo, rimanevano chiuse in camera per giorni. Ha quindi dato vita a Days For Girl, un'associazione che si adopera per fornire dei kit che le ragazze possono utilizzare in quei giorni.


Si tratta di un sacchetto che contiene assorbenti lavabili, mutandine, un asciugamano piccolino, un sacchetto di plastica e una saponetta. (l'assorbente sporco viene messo nel sacchetto di plastica con poco sapone e pochissima acqua, perchè ovviamente anche quella è un problema). Un kit che può accompagnare le ragazze per ben tre anni, permettendo loro di portare avanti la loro istruzione senza interruzioni discriminanti. Che permette a quelle che hanno un lavoro di non fare assenze inutili.


Alla fornitura del kit si accompagna anche una formazione sulle mestruazioni stesse, sul sesso e la riproduzione. Fino ad oggi sono stati distribuiti fino a 60.000 kit in più di 60 paesi, cambiando così la vita di moltissime giovani donne, ma ancora la strada da fare è molta.
La mia amica Jill si è offerta di avviare questo progetto in Italia. Per adesso ha cucito molto da sola. Per adesso sono andata con alcune amiche a darle una mano. Sono momenti di lavoro, ma anche di gioia e condivisione.
Se avete voglia di contribuire in qualsiasi modo a questo progetto potete farlo rivolgendovi direttamente a lei. Potete fornire dei kit già completi, scaricando qui i vari pattern, ma servono anche stoffe in cotone (senza disegni di animali), flanella (preferibilmente in colori scuri), nastri, piccoli asciugamani e saponette.




 jillianinitaly@hotmail.com  

foto di Jillian in Italy 

venerdì 21 marzo 2014

SCARPE NUOVE

Quando hai tre figli è tutto un cambio perenne degli armadi. Fai il sacco da dare via, quello da dare all'amica che ha una femmina, quello da dare a quella che ha tre maschi, quello da tenere perché ci sei tanto affezionata ma che al prossimo trasloco sicuramente sparirà e quello da passare al figlio successivo.
Nel nostro caso il primo è un maschi e le successive sono femmine. Ma femmine proprio, anche se una in realtà è un punkabbestia e l'altra uno scaricatore di porto. Ma loro sono convinte di essere principesse, e come tali di poter indossare solo cose rosa, possibilmente con i lustrini.
Patasgurzo quando aveva tre anni mi chiese delle scarpe rosa con farfalle e paillettes, ma io non gliele comprai, perché sapevo che all'asilo sarebbe stato un filino, ma giusto un filino, preso in giro. E da allora non me ne ha più chieste...purtroppo.
Ho quindi un sacco di tristissime scarpe marroni che Patasgnaffa si rifiuta di mettere.
Però ho scoperto che le scarpe si possono tingere. A casa. Facilmente. A poco prezzo. Inutile dire che è stata una svolta.
Il procedimento è facilissimo, a vera prova di imbranato.
Innanzitutto bisogna procurarsi la tintura, online è facilissimo. Arriva a casa un kit che contiene un pre trattante che bisogna passare sulla scarpa con una spugnetta abrasiva per i piatti. Puzza di pipì di gatto, ma si può sopravvivere, e serve per pulire la scarpa e rimuovere eventuali trattamenti che impedirebbero una buona presa della vernice.


Poi bisogna proteggere con dello scotch le parti che non si vogliono tingere, e questo lo convengo è la parte più noiosa.
Con un pennellino si dà la vernice sulle parti più ostiche da raggiungere e il resto lo si passa con una spugnetta facendo dei piccoli movimenti circolari. Spugnetta e pennellino sono già nel kit.
A me sono bastate un paio di mani, e avendo scelto una bella giornata di sole in un' ora e mezza me la sono cavata.


Con una boccetta ho fatto le scarpe, che furono di Patasgurzo,  per Patasgnaffa.
Poi ho ne ho fatte un paio, che furono di Patasgnaffa, per Patagnoma, che voleva le scarpe rosa e che così ha avuto l'illusione di avere una cosa nuova, presa solo per lei  certo stamattina mi ha chiesto le scarpe rosse, ma si sa che non si accontentano mai questi mocciosi).


Le ho messe in una bella scatola, e le ho loro spacciate come un regalo speciale.
Io sono figlia unica, ma credo che alla lunga avere i resti dei fratelli maggiori possa anche essere  una scocciatura...per fortuna bastano pochi espedienti!


Non so quanto durerà la tintura, ma è venuta benissimo e le scarpe sono rimaste belle morbide. In più ne ho ancora un po' per fare eventuali ritocchi.
Inutile dire che mi si è aperto un mondo, e che con i soldi risparmiati mi sono presa un paio di scarpe per me....

martedì 18 marzo 2014

AI CONFINI DELLA REALTÀ: 10.1 BURDA

Io non sono mai riuscita a vedere un film dell'orrore vero e proprio.  E se considerate che ho ancora gli incubi per Twin Peaks, forse potete anche immaginare il perché.
Ma covo da sempre, anche se non si direbbe, un'anima gotica e sono cresciuta a pane e Poe, acqua e Walpole, salame e vampiri.


Il mistero è ciò che guida ancora le mie letture, prevalentemente gialle, e mi incolla a uno schermo.
Da ragazzina impazzivo per "ai confini della realtà". Mi sono vista tutta la nuova serie, e poi anche la prima, quella ancora in bianco e nero, molto più inquietante.
La cosa che affascinava era che scenari apparentemente assurdi venissero inseriti in contesti incredibilmente banali e possibili.
Pur credendo a cose come le fate, ho sempre però pensato che queste storie fossero frutto di abili sceneggiatori.
Invece mi sbagliavo. Di brutto.


La prova provata la trovate su Burda di Marzo. Se andate a pagina 92 c'è una tipa che mi assomiglia così tanto che sono proprio io.
Io che ho due macchine da cucire rotte probabilmente perché le uso male, io che faccio cuciture deperibili, con date di scadenza ravvicinate, io che taglio storto, cucio sghembo e se mi parlate di precisione faccio addirittura fatica a capire il termine.
La regia di questo imperdibile episodio è di Gaia aka Vendetta Uncinetta (a proposito avete visto che bello il nuovo sito?), la cui vena dark è un filino più percepibile della mia.



venerdì 14 marzo 2014

NAAN

Oggi era il venerdì, uno di quelli che io chiamo #maledettagelmini. Uno di quelli in cui sono andata a scuola per il laboratorio di cucina. Io che ho un marito che cucina e che ormai non lo faccio quasi più.
Che poi devi trovare ricette veloci, che non debbano essere conservate in frigorifero e che siano facili da trasportare a casa. Si accettano consigli, ma anche tanti eh!
Tra l'altro questa settimana non mi ero preparata e quando la maestra di Patasgnaffa mercoledì mattina alle 9 mi ha chiamato per sapere cosa avrei fatto, mi sono sentita come quando la prof ti chiamava alla cattedra e tu non avevi studiato.
Fortunatamente negli anni devo aver sviluppato la capacità di arrampicarmi sugli specchi, perché una volta, quando mi sarebbe più servita, non ce l'avevo proprio.
E così, visto che domenica eravamo andati al ristorante indiano e Patasgnaffa aveva mangiato quasi solo il pane perché il resto era troppo piccante, ho detto che avremmo fatto il Naan.
Richiede una lievitazione breve, si cuoce in padella, e si trasporta nella stagnola. Perfetto.
Per prepararlo bastano 300 gr di farina con tre cucchiaini di zucchero e due di sale. Ho usato una bustina di lievito istantaneo perché quando il tempo è ridotto i magheggi vanno fatti. Abbiamo aggiunto un vasetto di yogurt, due cucchiai di olio e due di acqua calda. Hanno impastato divertendosi un sacco ,e quella che aiuta la mamma a fare il pane (non Patasgnaffa ovvio) si è distinta subito per tecnica e bravura. Volevo andarmene e lasciare lì lei.


Abbiamo fatto delle palline che i bambini hanno steso con il mattarello, a quel punto io ho cotto un panino per volta per due minuti in una pentola con il coperchio. La prossima volta porto due pentole, altrimenti invecchio in quella cucina, devo ancora farci la mano!
Mentre io cuocevo ho fatto scrivere la ricetta ai bambini, facendogliela ricostruire da soli. Magari così se la ricorderanno meglio. O magari no, intanto io però sono riuscita a cuocere il pane senza danni collaterali.


Ora avete due settimane per farvi venire un'altra idea. Io magari cucirò delle cuffiette ai bambini perché quelle lì di carta non si possono davvero vedere.

mercoledì 12 marzo 2014

LA FAMIGLIA CUORE

Nel gruppo degli amici siamo stati i primi ad aver avuto bambini. Cioè non è vero, i secondi. Ma i primi ci hanno preceduto di una settimana scarsa, quindi non è che abbia avuto il tempo di imparare molto sulla maternità. Le cose fondamentali sì però, la mia amica infatti trovò la forza di trascinare il suo puerperio fuori casa per portarmi una scorta di cibo e bevande. Mi ha salvato la vita, tutt'ora consiglio alle future neo mamme di riempire la valigia dell'ospedale non di mutande di carta (bleah) ma di leccornie e bibite.
Di bambini avevo l'esperienza che ti dà una cuginetta piccola e anni di babysitteraggio. Sapevo che i bambini potevano essere faticosi, ma di solito dopo tre ore al massimo, io me ne andavo.
Ero ormai al sesto mese e iniziavo a chiedermi vagamente inquieta come sarebbe stato davvero. Non mi interrogavo troppo sul parto, perché convincersi che il proprio sarà perfetto è comunque fondamentale.
La primavera stava sbocciando con la sua aria tiepida e la mia pancia. C'erano giorni in cui iniziavo a desiderare di poterla appoggiare da qualche parte, anche solo per un po', e di strada ne avevo ancora un da fare. E poi c'era Mary che portava in giro per il quartiere il suo pancione di nove mesi come se fosse stato pieno di piume e aveva un sorriso che vedevi ancor prima di lei.
Arrivò il giorno in cui nacque Margherita. Una domenica, la strada vuota e le prime gemme sugli alberi andammo a trovarla.
La casa era grande e silenziosa. Entravi e non so come ti sentivi improvvisamente calma. La culla era in una cucina inondata di sole e la piccola dormiva come se ci fossero le stelle a farle compagnia.
Mary e Francesca erano raggianti e tranquille, tra le altre cose mi fecero vedere i vestitini di Margherita, alcuni erano stati di Mary, glieli invidio ancora adesso.
La camera era perfetta.
La loro è stata la prima famiglia che ho visitato, prima che la mia cominciasse a prendere forma.  In quel pomeriggio di sole, stando con loro, per la prima volta mi sono davvero resa conto a cosa stavo andando incontro, e conservo ancora il ricordo di un'emozione fortissima.
Certo, non mi aveva preparato alle notti insonni, alla frustrazione e alla stanchezza infinita, ma è rimasta una stanza mentale in cui rifugiarmi in momenti difficili per ritrovare la tranquillità.
La nostra famiglia e la loro è cresciuta con ritmi quasi uguali,  la loro è più numerosa perché Mary ci ha infilato una doppietta.
Sicuramente anche loro hanno i momenti di delirio che caratterizzano la vita di ogni famiglia, più o meno numerosa che sia, ma per me resteranno sempre "la famiglia cuore". Con due Barbie come mamme, ma in fondo non ho mai avuto un Ken (forse un BigJim, ma parliamone, era veramente troppo cubico).



La loro storia la potete trovare raccontata qui, mentre qui trovate quella di due papà. Quest'ultimo è un libro di cui vado molto fiera, perché attraverso un progetto di crowdfunding ho contribuito a farlo nascere. Son soddisfazioni.

lunedì 10 marzo 2014

CARNEVALE 2014

Ancora sta cosa del carnevale ambrosiano non l'ho ben chiara. I coriandoli li ho tirati fuori dal garage giovedì, un pacco già iniziato di una scorta che giace lì da almeno tre anni. Ogni volta me ne dimentico per ritrovarmeli fra le mani tipo a ferragosto.


Ho preso quello già iniziato per tenere quello grande per la sfilata di sabato, e così armati, di soli pezzi di carta e spogli di ogni travestimento siamo andati al parco. Che era pieno perché c'è una fame di sole e aria aperta che chissà quando si placherà.
Venerdì la scuola era chiusa ma Patasgnaffa se ne è andata al nido con Patagnoma. Due piccole squaw, perché l'asilo non c'era più, c'era però un accampamento con indiani e cowboy che al posto del calumet della pace si scambiavano polpette e trombette.



Sabato c'era un bel sole e già al mattino c'era qualcuno che si dava da fare per preparare la sfilata, tema scelto, le Olimpiadi.
A quanto pare tutti gli amici dei bambini andavano in un altro paese perché il nostro l'anno scorso non aveva organizzato niente. E anche se l'anno prima aveva portato in scena addirittura il carnevale di Rio, è bastato un anno per giocarsi la partecipazione non dico dei turisti, ma anche degli abitanti stessi.
Alla fine son stata più campanilista io, la straniera, perché mi spiaceva vedere qualcuno che lavorava per niente.
E comunque mi è andata decisamente bene perchè Patagnoma ha tirato subito fuori l' animo pavido e isterico che riserva alle situazioni fuori dal comune. Pensavo fosse cresciuta, ma probabilmente non abbastanza.
E così mi si è avvinghiata addosso e ha sussurrato come un mantra "casa" "casa". Visto che non c'era Patapà mi sembrava ingiusto portar via anche i grandi e così ci siamo defilate un po' e lei, pur rimanendo imbronciata, si è calmata un pochino. E io ho potuto anche fotografare il cigno in riva al lago, perché da madre degenere ma blogger, un pensiero al post mi è anche scappato pur nella situazione difficile.



Per mia fortuna però i ragazzi che avevano organizzato il carnevale avevano fatto un bel lavoro, quindi, grazie anche alla scarsa affluenza di gente, son riuscita a riportare Patagnoma sul pratone dov' erano stati organizzati dei giochi pseudo olimpici, del tipo: sollevamento pesci, tiro del gianduiotto, salto con il martello, sci da fondo...schiena...


Patasgnaffa si è subito iscritta e io l'ho subito persa di vista, Patasgurzo nel giro di tre secondi aveva già un pallone in mano e giocava a calcio, che d'altronde si sa, era anche lo sport praticato da Sandokan.


Patagnoma ha trovato di estremo gradimento l'area dedicata ai più piccoli, dove finalmente si è sciolta e ha cominciato a sorridere, per spingersi poi anche a gironzolare qua e là, anche per tifare la sorella.


Quindi alla fine l'abbiamo sfangata egregiamente, e abbiamo passato tutto il pomeriggio all'aria aperta.



Io la sera ero stravolta...di quella stanchezza che solo le prime giornate di sole dopo l'inverno ti danno.
Una stanchezza che è anche un sospiro di sollievo perchè per un altro anno i mesi più freddi e bui sono passati.
Sta volta però mi ha colto il sottile e amaro pensiero che un inverno in meno è anche un anno in meno, della mia vita e di loro bambini. Non ce n'è, sto decisamente invecchiando.
Lo dimostra anche il fatto che i coriandoli sono rimasti in garage, ancora!


mercoledì 5 marzo 2014

PATABRÅKIG




Quando siamo entrati nella Patacasa, quattro anni fa che sembrano almeno dieci, la parete in quello che è la cosa più simile a un corridoio che abbiamo (io adoro i corridoi) era decorata con foto inserite in cornici stikers. Bellissimo, peccato poco duraturo. Ben presto infatti le cornici hanno iniziato a staccarsi qua e là, complice sicuramente un muro irregolare e colpevoli pure le mani strisciolose dei bambini
Ho provato a tamponare la cosa in più modi, vinavil, patafix, bioadesivo, bioadesivo per tappezzerie, bava di lumaca...no, quella forse no.
Alla fine le cornici mezze sbrindellate erano tenute su da metri di washi tape, che però a un certo punto ha iniziato a dar segni di cedimento. Quella che definirei una congiura.
E poi non c'erano foto di Patagnoma, la qual cosa, dopo tre anni pareva un tantino offensiva.
La soluzione più semplice era togliere ogni cosa, peccato che con tutto l'adesivo che ci avevo messo, togliendo la cornice ormai veniva via anche l'intonaco.
Ho provato a stuccare, levigare, stuccare e levigare un'altra volta, ma come forse avrete ormai capito, non sono esattamente portata per i lavori lunghi e meticolosi.
A questo punto l'originale idea di avere un bel muro liscio da trasformare in un' enorme lavagna è stata ben presto accantonata.


A salvarmi è stata la mia totale permeabilità alle operazioni di marketing, quindi quando quei geni dell'Ikea hanno lanciato una collezione in edizione limitata, mi ci sono buttata a pesce, come già sapete. La mia consolazione è stata uno, quella di essere perfettamente concia del fatto che mi stavano biecamente manipolando, due, quella che i prodotti Bråkig sono decisamente belli.


Quindi insieme a ciotole, tazzine, vassoietti e tavolini, mi sono comprata anche la carta da parati. Grigia. La prima ad esserne stupita sono stata io.


Venuto il momento di metterla su però sono stata colta dal panico. Il muro faceva schifo e lei era decisamente sottile. Io che avevo lavorato solo con le meravigliose carte Pip Studio, sono stata presa dallo sconforto e ho assillato la chiunque sui tutti i social che mi capitavano a tiro. Poco male, mi ero già mostrata molesta per avere informazioni sulla distribuzione della collezione. Probabilmente se googolate Gaia Bråkig esco io.


Alla fine, mettendo insieme tutti i consigli raccolti e tutta l'ostinazione di cui potevo disporre, quella benedetta carta in qualche modo l'ho messa su. Imprecando in svedese (sono una personcina coerente) e giurando a me stessa che non avrei mai più usato una carta con un disegno geometrico.
Il risultato non è certo perfetto, e soprattutto era molto grigio.


E così ci ho messo mano a modo mio, rovinando perfettamente quell'effetto "eleganzaesemplicitàtipicamentenordiche" che probabilmente aveva in mente il povero designer che l'ha ideata. 
Chiedo pubblicamente venia. (Anche in svedese qualora fosse necessario).


domenica 2 marzo 2014

LAGO DEI CIGNI

E' un po' di anni che scrivo sul blog, dovrei aver capito l'importanza della pianificazione, ma come sempre mi trovo sempre fuori tempo.
Quindi eccomi qui, con il mio post sul carnevale, con un tutorial per trasformare le vostre giovani fanciulle in piccoli cigni, o in buffi anatroccoli.


Un tutorial a carnevale praticamente finito e senza foto del processo creativo perché non ce l'ho fatta a farle per via del tempo. Del tempo che non avevo e di quello che c'era fuori, che ha avuto l'ardire di ritornare piovoso.
Un post perfetto, ci manca solo una ricetta fallimentare delle chiacchiere (crostoli o bugie o come altro volete chiamarle) e siamo a post(o).
Comunque eccoli qui i miei due piccoli cigni, non truccati, scalzi e non in riva al lago come avevo immaginato. Cioè io avevo la scenografia perfetta e non l'ho usata. Snifferò piume per punizione, anzi no quello l'ho già fatto confezionando i vestiti.




Per fare quello di Patasgnaffa ho cucito uno scamiciato bianco, di vellutino, ma potete prendere anche una canottiera di qualche taglia più grande in modo che sembri un vestitino. A quel punto procuratevi dei boa di piume, le trovate facilmente nei negozi cinesi, ma si trovano anche nelle mercerie ben fornite. Ovviamente sono assolutamente la stessa cosa. Armatevi di pazienza, una mascherina e anche un grembiule, è un consiglio d'amica, e cucite le piume sullo scollo, sulle maniche e sull'orlo inferiore del vestitino.



Il costume di Patagnoma è invece un semplice body bianco, a cui ho cucito due giri di piume intorno alla vita e due piccole applicazioni ai lati dello scollo. Avevo paura che troppe piume la infastidissero troppo, e avevo ragione!


Per il collo dei cigni ho usato un tubo di cartone di quelli che si trovano all'interno delle carte da regalo.
Gli ho infilato sopra una gamba tagliata da un paio di vecchi collant di Patasgnaffa imbottendo la parte del piede per farla diventare la testa del cigno, fermando l'estremità con un nodo e facendolo rientrare nella cavità del tubo. Sulla testa ho disegnato un paio di occhi, ho cucito un becco di feltro giallo e nero e una coroncina d'oro, perché trattasi di cigni regali, non le prime ochette che passano!
Alla base del collo ho messo un collarino di pizzo per evitare che l'imbottitura se ne andasse qua le là. All'inizio avevo messo un collarino di piume, ma più che un cigno sembrava un avvoltoio, e capirete bene non fosse il caso! Quello stesso collarino però l'ho fatto scivolare alla fine del tubo, dando l'illusione di una coda.


Comunque sia alla festa del nido, a cui parteciperà anche Patasgnaffa, si vestiranno da cowboy o indiani...quindi domani si ricomincia a cucire!